Detta fu la fine, la fine, si chiamò per nome.
“Ti lascio andare”.
E so, che tu lo farai. Un piccolo errore non vale la mia vendetta. Anche se tu pensi che io voglia vendicarmi di te. Tre parole; paura, dolore, bellezza. Ho confidato a te me stesso durante il naufragio e la tua mano in aiuto mi ha portato fin qui, su questa spiaggia. C’è un’occorrenza economica nel non “vederti” più, che devo ancora mettere a bilancio di questo anno, fatto di stalattiti sensoriali. La prudenza del mio corpo sul tuo avvicinarti è la conclusione del mio malessere dentro e fuori di me. Mi parli di questa ferita prima ancora che te lo chieda e sai bene cosa sono senza di te adesso. Adesso che mi smuovo per liberarmi dall’angolo in cui mi hai rinchiuso per non farmi andare via.
“Ti lascio andare” fa male. E non c’è partenza nel saperti non tornare poichè non c’è ritorno per chi non si mette mai “incontro” e “verso”, c’è dolore nel saperti in questo lasciarMi andare. Il mio bieco protagonismo camuffato da dinamico uomo d’avanspettacolo si squaglia nei tuoi occhi scuri. Realizzare questo distacco mi renderà un uomo diverso, e già ora, che ti scrivo, sento il ricordo del tuo odore, piacevole morbidezza sulle narici. Ti porto con me, e lascio che le somiglianze fortuite mi ricordino il sorriso e l’inquietudine delle tue notti insonni.
Effe senza errore, avrei potuto fare molto di più che capirTi, ma l’aridità delle mie vene non sopporta più certi sentimenti.
La mia paura di perdonarti arriverà presto alla conclusione, dove spero d’incontrarti nuovamente.