Natale dopo il 31


A Natale aspetto le impronte sugli ultimi spolveri di ghiaccio e asfalto, rimuovo il sale dalle ossa scuotendomi i petali e lisciandomi le vele delle ali, piccoli stantuffi che si tendono come i polpacci. Natale non festeggio niente se non la festa degli altri, che vedo ridere, stridere e schiamazzare, in un ordine di cose e fotogrammi che mi riportano a un passato mai visto, con l’incertezza che mi piega sull’incudine del dubbio atroce e notturno, è stato uno spavento o il tuo abbraccio? Natale è l’occasione per ritrovarmi con i rancori dei miei giorni bambini, vecchi amici coi ginocchi secchi e sanguinanti, quelli coi calzini tirati fin su tutta la tibia. A chi tocca stare in porta? Un calcio e il sudore freddo sulla camicia bianca. Natale è il simposio delle rimembranze, delle culture a zucchero a velo, ripiego sulla finestra e mi affaccio su quel silenzio pomeridiano mentre si scuotono le tovaglie dai davanzali, ed è Natale anche per i passerotti, che si sfiniscono di briciole di pane e pizzichi di noci. Natale è il momento dei miei desideri mai realizzati, un Everest di sogni irraggiungibili, una gola profonda sulla Fossa delle Marianne, accidenti a te Leo, furfante di periferia, mai uscito dalla Cattedrale delle tue sicurezze, fuori ti aspettava il mondo, era il giorno Ventisei di quel Dicembre ballerino, vestito di sole tiepido e sudore sotto i giacconi invernali. Natale.

Me stesso è una coltre di porte chiuse.

Ad aspettarmi preferisco me stesso. L’inganno è sempre vestito da Babbo Natale, una festa a cui neanche lui crede, ma partecipa con fervore e premura.

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