Pubblicato il 29/09/2014 da Leo Di Barlom
Lo “zip” della cerniera oggi somiglia ad un gong. Elettrovalvole di pensieri stantuffano in elenco le cose che ancora devo fare. Questa occasione si presenta nella perfezione del momento inatteso. E l’eccezione che conferma la regola del passato col presente mi fa sorridere per un attimo. Il cosìdetto nuovo che avanza di cui molti si fregiano di raccontare mi fa sorridere ancora di più. Se davvero volessero qualcosa di nuovo non permetterebbero al passato di essere così presente. Ma non è un problema mio, anche se da osservatore mi permetto di criticare questo assurdo pietismo da social network de noiartri. Mi vorreste togliere perfino il coraggio di criticarvi? Arrendetevi a voi stessi ed io farò altrettanto, e ci mancherebbe pure che raccontaste quello che non siete ed io non dicessi quello che penso, figurarsi. Ognuno è libero delle proprie schiavitù, e a son di voltarsi indietro il sale finisce per la vostra statuina da mercatino di provincia, per cui, tanti baci e cari saluti anche a voi medesimi, che vi rastrellate le briciole a vicenda e vi fate chiamare donne e uomini con una certa moralità.
La mia valigia è pronta. Gonfia di molte cose e alcune anche poco utili. Sinceramente me ne avvalgo la facoltà di improvvisarle utili, d’altronde ognuno ha i suoi difetti, come chi dice di non amare abbastanza che è esattamente come giocare a nascondino dal trampolino della piscina.(Questa la dovrei spiegare lo so, ma confido nella vostra cattiveria subconscia)
Alla fine ho salutato 6 persone. Le guardo ancora nella mia mente e le vedo perfettamente nell’oltranza della mia immaginazione, esattamente disposti come lo sono nella realtà(apparente). Le vorrei ringraziare una per una per avermi in qualche modo accompagnato all’incrocio di questa nuova strada, ma mi sono limitato a pensarle. Voler bene è pensare, ed anche su questo, cari qualunquisti coi profili internauti da bigiotteria Swarovskiana, è un’amara verità da affrontare. Fare le cose dopo averle pensate ci rende uomini e donne senza misura percorribile allo sguardo. Pensare al bene ed attuarlo.
Intanto io sono arrivato nella mia nuova casa. Respiro questa polvere con un altro odore e cerco di farmi contaminare dalla bellezza di questo nuovo panorama sconosciuto.
Cazzo, ho lasciato la valigia in macchina.
Pubblicato il 24/09/2014 da Leo Di Barlom
“Ti lascio andare”.
E so, che tu lo farai. Un piccolo errore non vale la mia vendetta. Anche se tu pensi che io voglia vendicarmi di te. Tre parole; paura, dolore, bellezza. Ho confidato a te me stesso durante il naufragio e la tua mano in aiuto mi ha portato fin qui, su questa spiaggia. C’è un’occorrenza economica nel non “vederti” più, che devo ancora mettere a bilancio di questo anno, fatto di stalattiti sensoriali. La prudenza del mio corpo sul tuo avvicinarti è la conclusione del mio malessere dentro e fuori di me. Mi parli di questa ferita prima ancora che te lo chieda e sai bene cosa sono senza di te adesso. Adesso che mi smuovo per liberarmi dall’angolo in cui mi hai rinchiuso per non farmi andare via.
“Ti lascio andare” fa male. E non c’è partenza nel saperti non tornare poichè non c’è ritorno per chi non si mette mai “incontro” e “verso”, c’è dolore nel saperti in questo lasciarMi andare. Il mio bieco protagonismo camuffato da dinamico uomo d’avanspettacolo si squaglia nei tuoi occhi scuri. Realizzare questo distacco mi renderà un uomo diverso, e già ora, che ti scrivo, sento il ricordo del tuo odore, piacevole morbidezza sulle narici. Ti porto con me, e lascio che le somiglianze fortuite mi ricordino il sorriso e l’inquietudine delle tue notti insonni.
Effe senza errore, avrei potuto fare molto di più che capirTi, ma l’aridità delle mie vene non sopporta più certi sentimenti.
La mia paura di perdonarti arriverà presto alla conclusione, dove spero d’incontrarti nuovamente.
Pubblicato il 16/09/2014 da Leo Di Barlom
Le scatole di cartone sono piene, numerate e contrassegnate. Ogni cosa al suo posto. La partenza è imminente e la mia vita anch’essa spremuta nel suo involucro pronta per il viaggio. Finalmente mi sento l’uomo che ho sempre voluto essere, e questa è la mia occasione per dimostrare a me stesso, che non solo l’ambiente circostante ma anche certe persone, hanno rallentato tantissimo il mio cammino. Mi travesto per un secondo da qualunquista e mi dico che se potessi tornare indietro sicuramente non mi dedicherei alle scelte che si sono rivelate dei fallimenti. I fallimenti tradotti in italiano spicciolo sono dei rallentamenti. Le cosìdette palle al piede del condannato ai lavori forzati. Non esiste colpa anche se il nostro inconscio ci bagna la spugna d’aceto e ce la da a bere.
Mi sento ricco di energia e francamente parlando questo posto lo faccio diventare segreto.
E in tutto questo, per te che non capirai, ti auguro tutta l’infelicità che desideri, perchè anch’io, come te, ho avuto la mia. Ho sempre fatto di tutto per differir la felicità alla ricerca del mio male. Sigmund mi darebbe una medaglia. Poi ho incontrato Hillman che mi ha dato una pacca sulla spalla, Lacan con un bello schiaffetto mi ha rimesso a posto, e Jung mi ha dato uno specchio per vedermi meglio.
Ecco sono pronto. Io vado e saluto. Mi aspetta un nuovo abitare, un nuovo percorso, un nuovo crederMi ancora.
Pubblicato il 02/09/2014 da Leo Di Barlom
Il mondo è un parassita. E’ talmente piccolo che c’è chi viaggia per fuggire e alla fine si ritrova a prendere il resto del biglietto del treno da un conoscente che da molto non si faceva vedere.
Il mondo è un parassita. Piccolo, ignobile castigatore di verità che mai accettiamo. Il mondo è un’imboscata. Un assalto al fortino delle verità nascoste. Nel momento in cui pensi di esser abbastanza lontano dal tuo quotidiano la verità arriva sempre a destinazione. Il povero mondo ce la mette tutta per non infrangersi contro i nostri sogni, ma alla fine, poverino, facciamo dei sogni talmente merdosi, che non riesce proprio a prendersela la merda per noi. E per una volta che si sente giustificato, si gira dall’altra parte e dice ” Caro mio/a la tua merda te la mangi” e così sia.
Il mondo è un veleno lentissimo, è una cura se preso in dose giuste, ma la giustezza non esiste per certi abitanti del mondo. Ad alcuni non piace mangiarla la merda, ad altri piace camminarci a piè pari. Ed anzichè fare di tutto per uscirne, comprano un bel paio di stivali ancora più alti. E non si capisce come queste personcine così curate e giustificate da se stesse ma non dalla propria storia, abbiano ancora la possibilità di dire “mi è andata bene anche stavolta”. Insomma, questo mondo merdoso e puzzolente rende la vita semplice ai complicati. Ma non è un senso di ingiustizia che anima la mia discussione, ormai ho capito che quando parliamo di bene e male, aveva ragione Deleuze ricordandoci Nietzsche, non significa necessariamente giusto o sbagliato. Allora mi faccio alcune domande, ci sono persone che si permettono di entrare e uscire dalla vita delle altre, ci sono altre che continuano con dinamiche farlocche ad essere quello che non sono, ed altre ancora che le giustificano sempre solo per il fatto che salvarle è una coazione a ripetere incontrallata, uno stato cosciente di fotosintesi senza più il risveglio. Io da questo mondo merdoso mi aspetto una selezione naturale. Spero tanto che queste amebe farlocche esangui di sentimenti e scelte sbagliate si ritrovino e si raggrumino, si riproducano e si uccidano tra di loro e perchè no, che si amino alla follia e siano felici per quello che sono. In fondo la merda del mondo se non altro sempre merda è, il mondo non fa certo distinzioni, ed allora mi aspetto che questa merda mi raggiunga, e mi auguro sempre di avere la forza per uscire, prendere il badile e sotterrarla. Uscire dalla merda mondana e mondiale è davvero una beffa. Ti ritrovi col badile in mano in un inesorabile solitudine. Tutti sono lì, che sguazzano nella merda e tu ti ritrovi come compagni in cima al cucuzzolo, tre rospi ai piedi ed un cardellino sulla spalla. Improvvisamente qualcuno/a si gira, e si accorge di questo sistema di rappresentazione, si volta in direzione dei tuoi occhi ma alla fine non fa niente. Rimane lì. Per qualcuno vivere è più rischioso che sguazzare nella solita merda, e non è solo il coraggio o la vigliaccheria del cambiamento. Credo sia molto peggio. E’ la certezza di stare bene! Io a questo punto mi giro e inizio a camminare, non so bene dove andrò, ma ancora sento le grida di quelli che stanno bene nella merda, e mi chiedo tra un passo ed un inciampo, per quale motivo urli e cerchi aiuto se stai bene nella pozzanghera merdosa che tanto curi?
La risposta è data ai protagonisti. Io sono una comparsa, una piccola stagione infettiva della mia vita. Ed allora oggi e ieri ho seminato con tanta volontà i miei desideri, ed aspetto la nuova stagione col sole ed i germogli. Per adesso sono l’inverno.
Pubblicato il 29/08/2014 da Leo Di Barlom
Molte cose in poche parole.
Multa paucis!
Ancora col tuo latino!? Dovresti seppellirlo, ormai son rimasti solo i proverbi che usano più spesso nei film americani che nei libri a scuola.
Del tipo carpe diem?
Già!
Significa approfitta del giorno .. e non cogli l’attimo. Cazzo questi americani! A son di omaggiare i fratelli Lumière prendono una lingua morta, la risuscitano e poi la storpiano e ne fanno un orpello culturale!
E poi con quell’orpello si fanno fabbriche aforistiche! Le odio sant’Iddio!
Spregiudicati!
D’altronde un giorno è di ventiquattr’ore. Ti devi sbrigare per essere felice!
Ma come si fa a essere felici per così tanto d’altronde?
Io non mi ricordo ancora l’attimo in cui lo fui!
Tu non ricordi mai, perdi in partenza il gusto di partecipare.
Cogli l’attimo .. ma con quale garanzia poi?
Nessuna, se poi penso che in un altro film parlano di attimo fuggente!
La paura è un attimo fuggente ecchediamine!
Non ci avevo pensato alla paura..
Quando mi rispondi e mi dici che non ci avevi pensato, bhè mi verrebbe da coglierlo quest’attimo, nasconderlo, e poi fartelo scartare come fosse una bella sorpresa.
Un attimo fuggente! La sorpresa è l’attimo fuggente!
Piove mi pare?
Sta iniziando effettivamente.
E chissà la prima goccia che sferza il terreno .. ci pensi? quello si che è cogliere l’attimo!
Il solo pensarla mi risulta impossibile .. è più un sogno direi.
Quindi secondo te, non c’è attimo fuggente che non colga l’attimo se non quello della prima goccia di pioggia che tocca la terra?
Ho detto che è un sogno .. e poi non ho detto secondo me. L’ho detto e basta.
Mai avere opinioni sulle parole vero?
Vero. Le parole son sassate in bocca. Alla fine non valgono molto di più della traduzione cinematografica storpiata.
Meglio vederle le cose a questo punto.
Già meglio vederle.
Guarda .. non piove più!
Pubblicato il 25/08/2014 da Leo Di Barlom
L’aria strangola i polmoni, annegando il respiro tra il gelido bagnato e immerso dei miei piedi. Il freddo disegna col suo bisturi la mia schiena, solcando brividi e tremolii. Il mio silenzio slega pensieri e lascio che la corrente se li porti via. Non mi volto per vederne la discesa, lascio che la culla d’acqua li porti all’evaporarsi. Mi siedo sul cuscino verde e lascio che il futuro mi porti la fine di questo giorno nuovo. Il riflesso si specchia sui turbinii, segnali di luce solo per me. Quest’angolo di mondo potenzia la mia anima. Se non sapessi la felicità, oggi la chiamerei così.
Pubblicato il 19/08/2014 da Leo Di Barlom
Io non sono nient’altro. Non c’è bisogno di specificare, la mia natura grezza dell’infrangersi delle pupille. Mi costa un desiderio ogni volta che ricompaio sullo specchio, mi guardo e cerco d’oltrepassarmi, di bypassarmi, di costringermi al flusso migratorio dei risvegli. Mi costa un desiderio ogni volta che rivedo l’8 mm della mia giornata, che trovo insulsa al solo pensiero di essere dove mai sarei voluto stare. La necessità è una condanna per quelli come me. Scrivo in questo ricettario di parole sperando che la stessa condensa evapori e si trasformi in musica. La mia. Mi rivedo nel recente passato e sono orgoglioso dell’uomo che ho lasciato. Si è lui l’eroe. Quello che ha accettato la sconfitta, la perdita e l’abbandono, l’eroe è lui, quello che si è messo seduto prima di rialzarsi ed ha teso la mano in cerca d’aiuto. L’eroe non voleva qualcuno che l’aiutasse a rialzarsi ma bensì, qualcuno che gli dicesse come fare. Questione di manovre, di sconvolgimenti, di trituramenti. Ed è passato l’inverno, come se fosse stato in una fila del macello, a morire mentre sapeva di morire. Non esiste la giustizia quando ti mettono in quella fila devi solo aspettare il tuo turno. L’eroe muore dopo l’uomo. L’uomo seppellì l’eroe tra la Bellana e i Piloni di Monopoli, lo gettò tra quei girasoli della Puglia e il profumo di cannella di Zante. L’eroe morì dove voleva morire. Da quel giorno l’uomo si caricò le spoglie, e ad ogni passo di questo nuovo percorso, lasciava al vento girelle di cenere. Io non sono nient’altro se non questo, e non c’è il ricatto del prendere o lasciare, non c’è la regola divina del desiderare. Non guardo alla finestra del futuro, e non m’importa delle parole rifatte e trite di nostalgia. Non m’interessano i rimpianti, i rimorsi e le attese più lunghe dell’esserci. Non m’interessano i consigli di chi sa molto degli altri e poco di se, preferisco arrendermi all’imperfetto che sono. Adesso so che l’uomo è quello che scrive. E per i lettori accaniti che leggeranno, si disilludano pure, amo molto l’eroe ma non più la spada che l’ha ferito a morte. Ma di tutto questo non devo provare a nessuno l’uomo che sono adesso, e quale eroe è stato, e non c’è santità nella parola eroe, non c’è significato d’eroismo. C’è molto altro, e c’è che nessuno è come me.
Pubblicato il 27/06/2014 da Leo Di Barlom
Mi strangolano i tuoi sorrisi, etichettati come codici a barre dove passano per la cassa, prego, grazie e arrivederci. Ma se guardo solo la tua bocca sorridente mi sbaglio e creo l’infortunio del dubbio.
Occhi che mi guardano che cercano la (s)combinazione, per entrare, per l’accesso, sulla soglia dei rigurgiti roteanti dei miei occhi, che passano veloci, come lame, come i flash, come i lampi notturni.
I tuoi occhi, che siano maledetti, dalla grazia del mio gusto, che li succhierebbe come caramelle dolci, mentre scavano gallerie fino alle mani, fino al loro tormentarsi di segreti mai visti e detti.
Quel che dico è quel che dici, ma tu mi ascolti e non togli mai la rivoltella delle tue cornee sul tiro a segno della mia pupilla. Miri senza trattenere il respiro e spari, centro perfetto, in questo silenzio da sonnambulo.
Dell’amor non m’importa niente, perchè niente all’amor importa se l’incastro non è perfetto per l’estetica. Ci pensa da solo (l’amor) a fondersi nella grazia e nella solidarietà, in questa legge che io, ho scientemente dato a me stesso.
Ti muovi con la testa in cerca di una nuova prospettiva, da un angolo all’altro mi sento felice per l’istante in cui sventro il passaggio dei nostri occhi. Sento la tua risata come la risacca in lontananza, e di questa spiaggia che non troverò mai.
Rimango seduto, ad ascoltare il profumo di te che la finestra aperta mi porta, scompigliando pensieri e fantasie fino al cumulo dei miei segreti. Ti penso mentre ci sei in questa penombra che ti avvolge, per la paura d’incontrarti negli occhi.
Trattengo il respiro e mi crollano le spalle, esco senza vederti e continuo a cercarti nel non volerti vedere. Giro la chiave e sono in movimento e ti penso nel ripensarti e mi ricordo quel che mi hai detto pensando a me.
Spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto intorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente, le mani, infatti, a volte parlano più chiaramente delle parole. (C.G.Jung)