Per la mia colpa, mia grandissima colpa.
Si sceglie un giorno per poter vivere ed uno per morire.
Per la colpa della grazia irrazionale.
Si sceglie un giorno per far morire ed uno per sopravvivere.
Per colpa dell’anima che strinse fino a fargli mancare il fiato.
Si sceglie un giorno.
Uno qualunque di 19 anni fa.
Che il perdono ricada su di me.
“E come stanno le cose?”
“Stanno che non hai idea di cosa sia la solitudine”
“Invece nella mia solitudine sto bene”
“Ti dico questa cosa a costo di farti male ma la credo necessaria .. che adesso, in altre parole, non arriverà nessuno per portarti via nuovamente da dove hai scelto di stare”
“Io non lo so ..”
“Meglio così allora credimi”
“Perchè?”
“Perchè quando le sai e le conosci le cose, ti lasciano nel migliore dei casi, e nel peggiore le lasci”
“E che succede?”
“Succede che ti aggrappi alla prima cosa che non vuoi.”
CoseCheVedoMaNonCiSono è una compagnia teatrale.
Nata quest’anno.
Ed è composta da una parte di me e da una repressione dei miei disguidi e disagi personali, contenuti da persone speciali che si affiancano e collaborano a questo progetto.
“Octo Deliri” è il nostro capolavoro, e nel 2015 sarà a disposizione di tutti quelli che hanno conosciuto il teatro di Artaud/Bene.
E’ un percorso senza memoria, senza re-citare, è un inesplicabile inganno.
D’altronde non potendo vivere con la vita, è giusto scegliere quel che si deve dimenticare.
Ingannarsi per l’amor proprio.
Un inganno, come la mia barba ed i miei capelli.
Vi ho ingannato con una semplice promessa e come tale, come ogni cosa, mi sono comportato come le cose appunto, ovvero le cose succedono, ed io, spero tanto, sono “successo”.
(Photo By Christian Clemens)
La strada è finita, ed ho ritrovato le foto.
Si quelle .. te le farò avere, o te le porterò .. vattelappesca che farò.
Ma tu, non lo sai.
Ad alta voce. Le parole escono come trucioli dal tornio del cuore. Scelgono la via più breve per caderti come lacrime controvento. Ad alta voce. Si schierano i ricordi in fila, e marciano sulla guglia dei ricicli mentali, ed ancora ad alta voce si sfaldano verso la discarica degli sputi. Ad alta voce mi accorgo solo ora dei tuoi occhi verdi, ma che dico verdi, i tuoi occhi son neri. Ma non credo neanche m’importi del colore dei tuoi occhi. Vedo quel che vedo tra le supposizioni della gente, tra i bisbigli di quel che vedono. Ad alta voce, mi dico, che ti dirò la verità, prima o poi, mentre razzolo tra i miei sguardi bassi, nel mio sentirti senza guardarti tra le viscere sanguinolente del Syrah. Ad alta voce, raccolgo le briciole dal tavolo e le confondo con la cenere delle sigarette, mentre ancora mi parli e mi dici cose nuove, miscuglio tra la tua voce e l’impasto amaro di quel che sto pensando prima di ogni tua parola. Ad alta voce, ti ascolto mentre mi tagli le vene col tuo sguardo di premura, ed in tutta questa novità del mio tempo che scivola e ti porta da me c’è perfino la primavera intorno a noi. A testa alta, calpesto le orme sui tuoi passi per non perdermi nemmeno un solo istante della tua presunzione a non esistere insieme a me. A testa alta frugo le tue spalle magre, nell’acido freddo di questo Marzo, umido di sterili luccichii stellari, ti ho visto per un attimo che mi osservavi mentre sorridevo sulle molle delle mie labbra. A voce alta ti chiamo per nome, ma sbaglio quasi sempre, tu mi ridi con gli occhi ed io rimango fermo.
Tu mi ridi con gli occhi ed io rimango fermo.
L’immagine e l’immaginario. Come le forbici e la lametta. Si creano differenze e si differenzia il necessario senza necessità. Anche i sentimenti hanno i pixel e se ti avvicini troppo non vedi un bel nulla. La giusta distanza per una minore carenza, per una giusta cadenza.
Misure.
Misuriamo tutto, troppo.
La misura ci occorre per vivere e morire, per “il quanto” ed “il come” nella qualità del nostro vissuto. L’amore, il possesso, il dolore, la mancanza, la felicità, il divertimento, sono tutte misure. Millimetriche e pesantissime fasi che ci portiamo dentro per vivere, pensare ed amalgamare tutto, nel possibile delle 24ore, nei mesi e nei giorni successivi, negli anni che verranno. Poi arriva la pattumiera del passato. Un cestino di carta stretto ma profondo quanto basta per non uscirci quasi più. Quanto misura il passato? Nessuno lo esprime con certezza, d’altronde è un cestino, frugarci ci mette a disagio con il presente, che nella misura in cui è, è sicuramente diverso. Ed allora misuriamo ancora. La rabbia.
La benedetta rabbia, che pulsa nelle pulsioni, che esplode nel piccolo contenitore che abbiamo tra la pancia ed i polmoni ma che ancora non gli abbiamo dato un nome preciso. Però lo misuriamo, con la meteoropatia, con gli attacchi di impazienza.
La rabbia e l’impazienza vanno talmente a braccetto che la prima, ci divora partendo dalla testa e la seconda ci divora dai piedi.
Per far finire le “cose” misuriamo il nostro personalissimo Orient Express emozionale. Da dove parte? Quali fermate per un eventuale rifornimento di “impaziente rabbia”? La fortuna vuole che qualche volta sbattiamo in fondo al binario morto. Questo binario non ha nessuna provenienza certa. Ci sbattiamo e svoltiamo strada. Non possiamo misurarlo e questo ci costa tremendamente tanto. Ci costa l’inquietudine del “non so perchè”.
Nelle mie personali misure da 41enne millesimato al 2014, raccolgo per disgrazia la foto di una sera di qualche anno fa. Stavo bene? Stavo male? Lo ricordo? Non lo ricordo?
Ecco il mio binario morto.
Guardo la foto. Ed ancora sbatto sul binario morto.
Senza barba e coi capelli corti. Ecco questa è l’unica misura per cui il passato mi fa attingere la misura di quel che è stato.
Binario morto.
E adesso?
Adesso curo la mia barba ed i miei capelli senza tagliarli.
Misuro in attesa di un nuovo binario morto, che mi faccia cambiare strada nel momento in cui non misurerò più l’ontologia del mio tempo.
E adesso?
Pace&Amore e frittelle di risate.
Guarda quelle nuvole! Anzi quella nuvola!
Quale?
Quella là, che sembra uno straccio appena strizzato.
Ma sta piovendo?
Perchè lo chiedi? Mi pare evidente!
Ancora di queste nuvole e gli stracci finiranno in cielo a fare le nuvole.
Il cielo è uno straccio, figurarsi se gli stracci si prendono la briga di diventare firmamento.
Già ..
Che tempo ..
Già ..
Ma non è così orribile, secondo me è una questione di come valuti il grigio.
In che senso?
Che il grigio a seconda di come riesci a vederlo può essere abbastanza blu come il cielo più di quanto non possa essere il giallo del sole.
Non ho capito.
Cosa non hai capito?
Il sole non è giallo!
Già ..
Il sole risplende luce ma che colore ha?
La luce ha il colore delle luce ecchediamine!
Ti riflette negli occhi e si vede benissimo
Cosa?
La luce riflessa del sole
E che colore ha?
Ha il colore dei tuoi occhi.
Già ..