Il tempo.
Nella logica è suddiviso in sincronicità. Nella pratica, esperienza e teoria sono equivalenti.
Il tempo si suddivide in particelle anacronistiche, ovvero, nessuno di noi ancora oggi ricorda il tempo trascorso ma il passato(trascorso).
Il tempo.
C’è il tempo, quello fatto di microrganiche pulsioni, di paletti mentali dovuti a duemila anni di senso di colpa(e del peccato), quello della cronologica prescienza, del piattume sensoriale e dell’idioma iconografico dell’attesa.
Poi c’è il cambiamento. Senza tempo. Fuori da ogni legge di gravità.
Nessuna giustificazione, il cambiamento non è una necessità ma un’esigenza dovuta alle nostre piastrine. Cambiare cambiando.
Tutto cambia?
Tutto si trasforma cambiando. Non è solo un gioco di parole. Son le parole che creano il guasto. Guadare un fiume, attraversare un fiume, questo è un guasto.
Ma la musica ci riporta sempre all’origine.
Con la sua perfetta poetica di note e bellezze canore.
Tutto cambia.
C’eran due volte che in una volta soltanto trapassarono un giorno. Quel giorno di Sabato sera tra gli spigoli dei tavoli e gli sguardi, ti vidi tra la tesa del tuo cappello fiorito e le tue mani anti-smalto.
C’era la volta in cui quella stessa sera mi trovasti chino sul rolling del tabacco mentre saldavo i miei cinque minuti di tabagismo tra la lingua e la saliva. Mi dicesti il tuo nome mentre la Bodeguita suonava la musica tra il rumore del bicchierame e il dondolio del fosso.
C’era quella volta in cui ti presi la mano. C’era quella volta in cui mi desti la mano.
Ci son le volte che ti penso e mi chiedo se hai abbastanza da fare per non ricordarti di me.
Ci son le volte in cui so che parli di me ma io non ho niente da fare se non molto da dire e lo vorrei dire a te.
Ma ora che ci sei, e mi stai portando via, dovresti farmi piccolo e come ogni 26 Febbraio ricordarti che mi hai incontrato, inciampato, fatto cadere, risollevato e portato via.
C’era una volta ed un chissà che, se non in quel giorno che verrà e sarai di nuovo qui, tra il rumore del bicchierame e il dondolio del fosso.
Ho un corpo, e non lo sono.
Il mio corpo si stanca. Il mio corpo si riposa.
Ho un corpo, involucro approssimativo di quel che appare.
Chimica delle viscere, delle ghiandole, dei germi e dei vermi.
Il corpo.
Tutto il resto che va oltre allo sperma ed al sangue convoglia nello stato naturale delle cose.
Ovvero non esiste.
Conosci la polvere?
S’insinua tra i tasti del pianoforte, e lui, suona ancora e ancora. Finche la polvere non s’alza e ricade sui tasti, quelli neri, dove puoi scorgerla meglio.
La polvere, è come la fuliggine. Riaffiora e leggera si posa, e solo se ci passi vicino e la sfiori si smuove e si muove.
La polvere, conosci la polvere?
Ed il polverio?
Conosci il sangue? Lo puoi sempre aspettare il sangue, perché arriva ovunque. A gocce, il sangue.
Il sangue danza denso.
Conosci il senso? Il senso delle cose, il senso delle direzioni, il senso del corpo.
Il senso dei sensi ci svia sempre per il nostro sesto senso. Un modo di sbagliare inconsapevole e dire poi “lo sapevo ..”
Arriva il momento che il senso lo perdi una volta per tutte.
Conosci me?
Conosci Leo?
Fatto di polvere, sangue e sensi.
Ed arriva il momento che lo perdi una volta per tutte.
(Le cose finiscono, mentre tu non finisci mai)
Por la blanda arena que lame el mar
Su pequeña huella no vuelve mas,
Un sendero solo de pena y silencio llego
Hasta el agua profunda,
Un sendero solo de penas mudas llego
Hasta la espuma.
Sabe dios que angustia te acompaño
Que dolores viejos callo tu voz
Para recostarte arrullada en el canto
De las caracolas marinas
La cancion que canta en el fondo oscuro del mar
La caracola.
Te vas alfonsina con tu soledad
Que poemas nuevos fuiste a buscar…?
Una voz antigua de viento y de sal
Te requiebra el alma y la esta llevando
Y te vas hacia alla como en sueños,
Dormida, alfonsina, vestida de mar…
Cinco sirenitas te llevaran
Por caminos de algas y de coral
Y fosforecentes caballos marinos haran
Una ronda a tu lado
Y los habitantes del agua van a jugar
Pronto a tu lado.
Bajame la lampara un poco mas
Dejame que duerma nodriza en paz
Y si llama el no le digas que estoy
Dile que alfonsina no vuelve…
Y si llama el no le digas nunca que estoy,
Di que me he ido…
Te vas alfonsina con tu soledad
Que poemas nuevos fuiste a buscar…?
Una voz antigua de viento y de sal
Te requiebra el alma y la esta llevando
Y te vas hacia alla como en sueños,
Dormida, alfonsina, vestida de mar…
Ti perdono. Per tutto quello che non hai mai fatto, pensando che io fossi una muraglia invalicabile, senza bisogno di altre difese. Per tutto quello che hai fatto e che ha lasciato un ricordo calcificato. Ti perdono per non avermi scelto ma almeno trapassato. Ti perdono per l’amore che mai ho vissuto e per quel che sempre ho temuto.
Ti perdono.
Dall’iride
che cornea il tuo viso
fino al punto esatto
di te
Galleggio nel silenzio di questa casa, dove i muri nebulizzano silenzi, risuonando nel rimbombìo dei miei passi, schiavi striscianti di piccoli sorsi di Syrah, di questo pasteggiare con la mia golosità di vivere fino a morirti sul cuore. Pensieri divini divanizzati. L’inferno sarebbe un posto perfetto per cercarti. Ma per ogni inferno esiste un paradiso. Serve un estremo sacrificio per lasciarlo, per arrivare in fondo alle viscere della terra. Serve una vocazione, un’estrema solidarietà. L’amore come la vanità ormai non esiste più. Ma ormai sono liquido, fatto d’acqua negli occhi, e polvere di polmoni. Liquido di sale, emulsionato d’anima. Liquido ed acido astrale, acquosità imperfetta. Liquido e goccia che lama il percorso fino a morire sul sapore di labbra socchiuse. Liquido, umido odore d’essenza e marea indefinita di silenzi acquiescienti, acqua che muore in vapore che nuvola il ricordo.
Al di là dei sogni. Al di là dei ricordi.
Ognuno è esattamente nel posto in cui non si sarebbe voluto trovare senza contare l’altro.
Al di là dei sogni, oggi, non scenderei più verso l’inferno se non che, per asciugarmi i piedi in questo camminare liquido.
«La felicità – diceva,–
È destrezza di mente e mani.
Tutte le anime maldestre
Sono note per la loro infelicità.
Non importa,
Se molti tormenti
Sono frutto di gesti
Tortuosi e menzogneri.
Nelle tempeste, nei temporali,
Nella gelida vita,
Nelle perdite gravi
E quando sei triste,
Apparire sorridente e semplice –
È l’arte più sublime del mondo».
L’uomo nero – S.A. Esenin