Detta fu la fine, la fine, si chiamò per nome.
Il mondo filtrato attraverso uno sguardo che oscilla tra un cuore bambino e l’esperienza che incanutisce sui pensieri di chi non si limita ad osservare la vita, ma la spreme e da essa si fa spremere … senza risparmiarsi, con coraggio e con paura perché entrambe umane queste sensazioni, con dolore e con gioia, con amore e passione: facce della stessa medaglia di umana esistenza.
E’ lo sguardo fantastico del bambino a tradurre la narrazione di realtà tangibili in favole da raccontare e a concedersi morale e insegnamenti, in metafore chiare, sulla linea di racconti sequenziali, in prosa matura.
Rubando ai testi di Leo Di Barlom “sembrava ogni volta dire un addio e un arrivederci allo stesso tempo” è quasi una nenia in cui si muove tutta la sua scrittura, dove la poetica spintona all’esterno paesaggi interiori, saturi di esperienza vissuta, corollario dell’esteriore metabolizzato.
Al centro il duello: scontro e incontro del finito con l’infinito, l’oltre che riesce a superare le lontananze dei suoi confini e che, arretrando, raggiunge l’umano: il personale e l’universale si mescolano.
C’è un punto focale dove avviene questa fusione, un centro d’ascolto dove il cosmo colloquia con l’umano, il corpo dialoga con l’anima, la sfiora, la carezza, la blandisce, l’ama e la perseguita di domande sommesse, di risposte attese e rimandate all’orizzonte, in fondo ad una linea che separa il cielo dal mare, l’iride dalle ciglia di una donna amata, il volo di angeli in ceneri a scavalcare questo mondo … un punto struggente e liberatorio al contempo … in cui tutta la sua scrittura si specchia.
Prosa e poesia diventano voli pindarici che respirano anche nei sogni, a volte si trasformano in lame per ferire il sonno e altre volte in dita e capelli amati per rubare alla notte carezze perdute, in ricordi di superiore bellezza.
Paola Tinchitella